Noi siamo macchine che apprendono continuamente.
Ma ciò che apprendiamo in modo passivo e ciò che, invece, apprendiamo attraverso una scelta cosciente richiedono energie assai diverse.
Ciò che impariamo in modo passivo traccia nuovi percorsi neurali nel cervello in modo del tutto inconsapevole e, ciò che più ci interessa, senza una fatica apparente. E infatti sono ancora in tanti ad acquistare macchinette che durante il sonno dovrebbero trasferire loro competenze desiderabili come parlare lingue straniere (ad oggi, che mi risulti, tutto ciò rimane una bellissima fantasia piuttosto che una strada percorribile con qualche efficacia per diventare poliglotta).
Le relazioni hanno una loro etichetta che va studiata e appresa.
Quindi, ricapitolando, se voglio apprendere una qualsiasi cosa cercherò sempre di fare il minor sforzo possibile e apprenderla in modo passivo è il non plus ultra perché non farò alcuno sforzo cosciente per impararla! Da questa nostra naturale inclinazione (al risparmio) nasce il nostro disimpegno all’educazione alle relazioni interpersonali.
La spontaneità non ha nulla a che spartire con la poca educazione che attraversa le nostre quotidiane interazioni personali.
Facciamo un esempio. Quando pranzo a tavola e uso la forchetta per mangiare gli spaghetti non sono “meno spontaneo” di quando concedo un ascolto attivo il mio interlocutore.
L’educazione richiede lavoro su se stessi.
Attraverso questo impegno si raggiunge la naturalezza nell’uso di strumenti che, oggi, sono indispensabili per vivere bene insieme agli altri la nostra vita.
È vero, si può sempre fare a meno della forchetta per gli spaghetti così come continuare a credere (comodamente) che l’educazione all’altro sia spontanea e, oltre una certa misura, manierismo e ipocrisia se non addirittura manipolazione.
Possiamo credere ciò che vogliamo pur di stare comodi, ciò non cambia il fatto che l’educazione faciliti lo svolgersi delle azioni così come la forchetta è meglio del bicchiere per mangiare gli spaghetti. Ma l’educazione all’altro, alla relazione con l’altro è una scelta che nasce da una valutazione personale cui nessuno può sottrarsi. Una valutazione semplice che lascia agli altri ben poco spazio: l’altro vale davvero la fatica di apprendere un certo modo di fare la relazione?
Nota bene che ho detto “fare la relazione” e non improntare, vivere, sperimentare, ecc. perché a mio avviso la relazione si “fa” sempre. La relazione si fa ogni volta che l’altro entra in contatto con “qualcosa“ di nostro. Se siamo consapevoli di quei momenti possiamo provare a fare la migliore relazione possibile. Ma ciò dipende da quanto ci siamo educati a gestire consapevolmente il nostro modo di fare nella relazione, quanto abbiamo affinato l’uso dei sensi, la capacità di gestione delle nostre reazioni emotive e delle reazioni alle emozioni dell’altro e quanto siamo capaci di ascolto dei contenuti dell’altro anziché proiezione dei nostri vissuti, delle nostre storie e dei nostri modi di credere.
Ma l’altro vale tutto questo lavoro consapevole? Forse l’altro non sempre vale la fatica di imparare a fare le migliori relazioni possibili (del resto non devi, né devo amare tutti e farmi piacere tutti per forza) però la tua e la mia qualità della vita dipendono dalla qualità delle relazioni che sappiamo “fare”.
Allora, prima di trovare qualcuno per cui valga la pena essere educati a fare la migliore relazione possibile (se ancora non ne hai già uno nella tua vita) sarebbe il caso di imparare a farle bene queste relazioni! E con chi? Con chi non se lo merita… ancora.